Un randonneur se non riesce a dormire conta tutte le salite che ancora non è riuscito a fare, o quanti km può ancora percorrere: 600, 601, 602… Il rapporto tra un ciclista e il viaggio che ha deciso di fare è dolcemente complicato come una storia d’amore: il ciclista viene respinto dal percorso, è attratto dal percorso, litiga col percorso, ignora il percorso. Non vuole essere lasciato stare, dal percorso, e una pozza di fango è come un litigio, solo una scusa per fare poi pace facendo l’amore.

E come ogni storia d’amore che si rispetti, quella tra la randonnée e chi la pedala vive tutte le fasi di un rapporto: l’alzarsi presto al mattino perché non si vede l’ora di incontrarla, la tua randonnée. La mattina che vola via se il cielo è sereno e lei ti tende la mano, la mattina che si trasforma in un inferno se decide di farti piovere addosso tutti i turbamenti del cielo. Ostacoli infiniti, pervicaci, ostinati e costanti come le pendenze del Resia o del Fernpass, e il saperti lasciare tutto alle spalle, voltandosi soltanto per guardare le cime dietro di te: quelle erano le Alpi, randonnée, e siamo riusciti a superarle insieme. Senza rendercene conto.

Perché ogni weekend ci sono persone che escono di casa per farsi centinaia di chilometri in bici? Perché ogni anno ci sono persone che prenotano aerei, pullman, comprano bici, spendono soldi in attrezzatura, lasciano da parte tutto il resto, si ingobbiscono sul telaio e smanettano sui rapporti, perché decidono di prendere tutta l’acqua e il sole di questo mondo con un cartellino giallo in tasca da timbrare? Ci stiamo provando a capirlo, davvero, ma nel mentre non possiamo fare altro che corrergli dietro in discesa, o fermarci insieme a loro, spingendo la bici a mano, in salita. Ci ha raccontato uno di loro, uno di questi eversivi della quotidianità che a un certo punto della settimana dicono al mondo «vai avanti tu, puoi tranquillamente fare a meno di me» e li vedi lontani all’orizzonte sulla loro bici, lungo la provinciale o una salita introvabile dai gps nei boschi, uno di questi sovversivi delle pasciute abitudini ci diceva «io ad un certo punto vado, passo la settimana a dire agli altri cosa fare, o ad ascoltare gli altri a dirmi cosa devo fare, sul lavoro, a casa, che va anche bene eh, è la vita, però niente, io a un certo punto vado, dico a mia moglie “vado a farmi un giro”, solo che è un giro di dieci ore, o di centinaia di chilometri, ogni tanto le scrivo dove sono, lei mi dice ma cosa ci fai lì, e allora a quel punto è meglio tornare. Io ad un certo punto vado, dopo una settimana passata a restare, vado a pedalare da solo e mi sento meglio».

Ed è quasi come essere felice / 1
Ed è quasi come essere felice / 2
Ed è quasi come essere felice / 3
Ed è quasi come essere felice / 4
Ed è quasi come essere felice / 5