Lo scorso novembre eravamo spettatori al forum organizzato dalla Fondazione Masi a Roma, al Maxxi. Si chiamava “Bikeconomy Forum, l’irresistibile ascesa della bicicletta”, e analizzava il valore e l’impatto economico della bicicletta sulla nostra società. C’erano economisti, organizzatori di eventi ciclistici, presidenti di associazioni di ciclisti, sportivi, giornalisti, anche urbanisti olandesi. Tutti sottolineavano il salto qualitativo che la bicicletta sta avendo in questi ultimi anni sulla società: da simbolo di un mezzo di trasporto ecologico, a vero e proprio stile di vita e dunque con ricadute economiche consistenti. Non staremo ora a citare dati, ci sono studi di settore che dimostrano come per 1 euro investito nella bicicletta (che si tratti di un’infrastruttura o di incentivi all’uso) la ricaduta economica è di 3 euro nell’arco di cinque anni. Nè sottolineremo il risparmio per il sistema sanitario nazionale derivante dall’uso della bici. Andare in bicicletta, infatti, migliora la salute di tutti noi, ci ammaliamo di meno e quindi dobbiamo semplicemente spendere di meno per curarci: l’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato questo risparmio in 110 miliardi di euro in Europa, per dire. Noi di Witoor, però, dobbiamo ammettere di non essere mai partiti dai dati, per fare le nostre scelte: non abbiamo iniziato a occuparci di bicicletta perché intuivamo un mercato espandibile, e nemmeno perché consideravamo la bicicletta come uno strumento dal ridotto impatto ambientale. Prima di essere organizzatori di eventi, e ambientalisti (cosa che a modo nostro, poi siamo comunque diventati) eravamo prima di tutto persone. E una cosa che è sempre sfuggita, perlomeno molti anni fa, ogni volta che si cercava di costruire qualcosa attorno al contesto ‘bicicletta’, era appunto questo aspetto: si va in bici perché ci si diverte, punto. Ci sentiamo bene a farlo. Non ci sono teorie economiche o vocazioni sociali: la bici è una cosa figa, tutto qui.

Questo è stato sempre il nostro approccio alla faccenda, pensarci prima di tutto come persone e non come ‘ciclisti’. Pensare che non volevamo migliorare la nostra forma fisica, o risparmiare soldi per andare a lavoro, o non inquinare: no, noi volevamo semplicemente sentirci bene. Sentirci “noi stessi”. La bici è stata solo la conseguenza di questo bisogno, mai il contrario, e non crediamo che questa inversione di causa ed effetto la sminuisca, anzi. Oggi la bici è considerata uno stile di vita, un mondo a cui si aggancia qualsiasi aspetto (visivo, estetico, urbanistico, di moda, di eventi, tutto), ma un tempo era uno strumento o un vangelo o un messaggio: e questo, secondo noi, non ne ha agevolato la diffusione. Crediamo che le persone non siano “buone o cattive”, ma che vivano sulla base di come sono e di come vorrebbero essere: e se gli si dà un’esperienza in cui si sentono bene, appagati, possano percepire l’essenza della bicicletta e assimilarla in modo molto proprio. Volendo astrarre: è come se per imparare una lingua nuova si seguisse un corso, oppure si andasse in una città straniera senza vocabolario. Nel secondo caso, la nuova lingua verrebbe assimilata più in fretta e più sottopelle.

Questo è stato il nostro approccio alla bici. Da quando abbiamo iniziato a fare le nostre prime pedalate, ai tempi del liceo, con il ‘bigone’ da città da Ferrara fino al Mulino a Ro, lungo il Po. Da quando abbiamo fatto una vacanza in bici in Corsica, quando il cicloturismo era una cosa che si vedeva sui depliant tedeschi e in Italia non ne parlava quasi nessuno: arrangiandoci, da soli, senza consigli su tragitti o borse sotto il manubrio. Da quando siamo andati in bicicletta da Ferrara a Capo Nord, portandoci una mostra fotografica dietro. Da altre esperienze di viaggio (Ferrara-Francoforte, Polonia-Ferrara), fino alle randonnée da Bolzano prima e Monaco poi, a Ferrara, e alle Bike Night, l’evento che ci ha fatto conoscere di più a Ferrara e fuori Ferrara. Esperienze tutte diverse, ma sempre accumunate da un concetto: la bici veniva un secondo dopo di noi. Noi volevamo uscire dalla provincia, vedere cosa c’era fuori, andare più lontano possibile, stare bene, fare fatica, sentire il corpo attivo, sentirci vivi. La bicicletta è stata soltanto la prima lingua che abbiamo imparato per interagire con il mondo. Amiamo tutto della bicicletta, ma è stata una risposta, non la domanda.

Questo crediamo sia l’approccio per diffondere l’uso della bici, e di conseguenza condurre esistenze che abbiano più rispetto dell’ambiente in cui noi viviamo, e quindi prima di tutto di noi stessi. La nostra attività si basa su eventi che cercano di essere il più inclusivi possibili, e le Bike Night e le facce che si vedono in quel video sono il paradigma su cui andiamo a costruire tutte le nostre proposte. C’è spazio per tutti in bici, e vogliamo scardinare la polarizzazione della bicicletta: tu in bici da carbonio da 4000 euro, tu con la bici scassata e la pancia, tu famiglia con bimbo piccolo o cane al seguito, voi ragazzi con birre nel cestino, tu timido, tu sbruffone, venite tutti a vedere cosa siete capaci di fare. Venite a vedere che un viaggio inizia non quando è l’ora giusta, ma quando senti il bisogno di farlo, anche se è mezzanotte. Provate a vivere la città in modo più lento, al buio, provate a mettere la testa fuori dalle gabbie dei reticoli urbani e pedalare senza vedere niente, provate a essere curiosi, provate a mettervi alla prova, a resistere per 100km, guardate quanta vita c’è altrove, fuori dalle città, che sia il mare o un lago o una stazione restaurata in montagna. C’è tutto questo, nelle Bike Night, tutte queste domande che hanno un’unica risposta: la bicicletta. Se alle persone gli si dà la possibilità di rispondere a queste domande, di costruirsi la propria storia, poi l’associazione mentale “ho fatto tutto questo grazie alla bici” sarà più spontanea, crediamo, più automatica e forse più duratura. Con esiti più persistenti sulla società e l’ambiente in cui viviamo.

Non vi vogliamo annoiare con pratiche imprenditoriali sulla bici o sui metodi di pianificazione dei nostri eventi. Anche perché, l’avete capito, andiamo molto “a sentimento” (che è diverso dal dire “a caso”). Vogliamo per chiudere citare una delle tremila persone che quest’anno hanno partecipato alla Bike Night. Terza tappa del tour, 20 agosto, Udine. Si pedala lungo l’Alpe Adria, una vera e propria Bike Night regionale perché si attraversa un’intera provincia ma anche regione, dalla pianura fino alle montagne, verso nord. Sono già le nove e mezza di domenica mattina, sono arrivati tutti i duecento partecipanti, da diverse ore ormai. Ne manca una sola: è una signora di 68 anni di Magnano, vicino a Udine. Pedala su una mountain bike scassata, indossa un maglione di lana bianca pesante, pantaloncini corti pesanti, e ha un sacchetto della spesa rosa addosso per proteggersi dalla pioggia della notte. Sulla linea del traguardo si copre il volto con la mano, per evitare di essere fotografata. Arriva, scende dalla bici, ci guarda e dice: «Io quando decido di andare in un posto, io poi ci vado, non importa con che mezzo». Ecco, il motore, secondo noi, è questa cosa qui.