Come mai ci mettiamo in viaggio un venerdì mattina in bici, peraltro senza essere forse nemmeno così preparati, peraltro senza nemmeno sapere quanto farà caldo, se abbiamo preso tutto, se ne saremo capaci? Bella domanda. VENTO Bici Tour 2018 inizia là dove era finita la prima edizione, come un cerchio che si chiude, come se la storia fosse ciclica. Inizia di fronte ai Murazzi impalliditi dal sole, all’ombra dei colli di Torino, lungo quel Po che non lasceremo mai nei prossimi giorni. Ti sei accorto anche tu che in questo mondo di ciclisti nessuno vuole rimanere indietro? E invece VENTO Bici Tour è quel momento in cui bisogna, rimanere indietro: per fermarsi a fotografare campi di papaveri, per salutare gli anziani alle finestre, per sistemare deragliatori distratti, per guardare tutto quello che abbiamo lasciato, noi comunità, in quei paesi disseminati tra le anse del Po, paesi che avrebbero ancora qualcosa da dire, se qualcuno si fermasse ad ascoltarli. Si parte dalla fine, per ritornare all’inizio, in una storia che si ripete due volte, come le ruote, la prima come favola, la seconda come realtà.

Torino serve solo a darci la spinta, venerdì 25 maggio, per uscire dal traffico della mattina e darci subito da fare: il mercato cittadino di San Mauro Torinese, attraversare con la bici, prima di tutto, non scenari avventurosi ma la banalissima realtà quotidiana fatta di semafori, bancarelle, serrande che si alzano, perché la bici è più prosa che poesia. Perché tanto poi la poesia sbuca ovunque, si dipinge di verde dopo Chivasso, e nella foschia le colline verdi sembra quasi di stare in Baviera, eppure subito dopo ci sono rottami di autobus nei parcheggi lungo la ferrovia, e la ciclabile che non c’è dimostra che non c’è nulla da inventare, ci sono realtà contrastanti che possono stare legate insieme soltanto dalla bici. Cento e più persone che pedalano verso est, da Torino che più una città si dimostra un perché, un inizio della storia, un catalizzatore di fermi propositi da far riverberare negli occhi di chi pedala per tre e sei giorni. E così 70km passano a discutere di ebike o “bike economics” mentre si attraversano borghi e paesi della periferia, tenuti ancora in vita da tabaccaie felliniane con i capelli rossi e raccolti sulla nuca o dai modi gentili di panettieri che offrono pizze al trancio. Da Torino a Trino si perde una vocale ma ci si carica di polvere, occhi aperti su distese aperte, il sudore che stringe amicizie e nuovi incontri, come il presidente dei ‘Polesani nel Mondo’, che da Papozze, dove passeremo nel secondo weekend, si è trasferito tantissimi anni fa proprio nell’arrivo della prima tappa.

Sabato mattina, 26 maggio, in una pasticceria di Trino che si sta svegliando insieme a noi sul bancone trovi la Settimana Enigmistica insieme a matita e gomma: le parole crociate dove puoi sbagliare e correggere, come la strada, se si sbaglia strda si può tornare indietro, ricominciare, riprendere e riprendersi territori trascurati che non vedono l’ora che accada qualcosa. A Casale Monferrato si aspetta lungo l’argine all’ombra degli alberi che arrivino “quelli della Vento”, che sembrano un po’ il Giro d’Italia, e le anziane alla finestra alzano le tapparelle e sfidano il sole per raccontarsela, per chiedersi da dove veniamo, dove andiamo, quasi a esultare al nostro passaggio. L’archeologia delle attese che diventa industriale, le soste nei mercati ortofrutticoli dove si pedala di nascosto tra le cassette della frutta vuote, la visita al Paraboloide che sembrano viaggi interstellari in pianeti alieni e dimenticati, e invece ci ricordano tutto. E le attese anche dei negozi di bici, che ti consentono di riportare bici noleggiate in emergenza direttamente a casa loro, sabato sera.

Papaveri, papaveri ovunque. E poi grano ancora verde, ancora promessa, e poi campi di fieno, di terra, di niente, c’è così tanto “niente”, da riempire con la bici, da Torino a Trino a Valenza e poi a Pavia, nel Piemonte che diventa Lombardia senza nemmeno che te ne accorgi, perché il Po è di tutti, come la bici, come le risaie dentro cui specchiarsi, come i mulini con le affissioni a ricordare il decoro di chi lavora: non si sputa e non si bestemmia, diceva il cartello nel mulino di Fontaneto Po, uno dei residui della famigerata civiltà contadina che sembra passata e invece è più presente che mai. La grangia di Pobietto nell’orizzonte offuscato dall’umidità sembra una creatura mitologica addormentata, silente come i bimbi addormentati nei carretti, svegliati dai bambini che pedalano intraprendenti sulle loro bmx. E la sede dalle pareti scure ed eleganti di Bvlgari è un temporale che brilla nella campagna attorno a Valenza, e passare dalle macine ai gioielli fa sempre parte di quella fiaba da scrivere in bici, sulla ciclovia che è soltanto immaginata ma dove può accadere già di tutto, come i tramonti cinematografici che emergono dalla pioggia scampata, sulla riva alta del Po, come una cover sincera di The Sound of Silence dall’esecuzione un po’ incerta, nei giardini di Valenza, traballante come lungo le discese sterrate degli argini del Po, ma è giusto così, in una ciclovia che ancora non c’è, che abbiamo ancora qualcosa da imparare, come tenere saldo il manubrio e i progetti.

E VENTO Bici Tour sembra davvero il Giro d’Italia, che nel frattempo gracchia dagli altoparlanti della radio sul furgone Witoor, quando ci sono minuscoli paeselli che ti aspettano e ti fanno sentire come lungo i Campi Elisi, accogliendoti in umili ma calorose Pro Loco, con le insegne del menu sbiadite dal sole impietoso di secoli e secoli che annunciano panini e bibite. Soluzioni semplici a problemi complessi, come la scatola da gioco ‘Tabelline e problemini’ trovata sotto il tavolo da biliardo in una splendida villa Gropella in cui ci capita di alloggiare, un altro luogo mitologico, in un bosco sterminato, che ci annuncia come sia semplicissimo, passare il tempo, che sia poi facile, descrivere un viaggio in bici di sei giorni da Torino a Venezia, come ci insegnano le civette dei giornali nelle edicole alla domenica mattina a Valenza, che liquidano felicemente il tutto come “la festa della bici”, o il sindaco di Valenza che mette a riposo le bici proprio tra i libri, equiparandoli finalmente.

E dal paraboloide si passa alle parabole degli agriturismi, issate tra la paglia nel soppalco dei fienili, ad Alluvioni Cambiò. Uno dei nostri posti preferiti, tra Torino e Venezia, perché la risposta alla domanda su che cosa voglia dire, quel nome, è semplice e ovvia e sta tutta nel nome stesso, senza bisogno di fare anse strane e perigliose: a quelle ci pensa il fiume, per farci tornare indietro, andando avanti. Il primo weekend finisce a Pavia, nel cortile dove dietro l’abside del duomo un albero divarica la pietra per issarsi tra i ciclisti: suonano i campanelli, si rincorre subito a prendere il treno, per ritornare a casa prima di ripartire, di nuovo, da Mantova, per la seconda parte di questa storia ciclica scritta da gente che non ha mai pedalato prima e da presidenti di sezioni Fiab, da chi pedala in camicia “per proteggersi dal sole” a chi invece si toglie il più possibile, da chi si mette la crema sotto le gote a chi espone orgogliosamente il segno del sole su braccia e gambe. Il rito di iniziazione per entrare in una famiglia dove non ci sono muri, ma solo ruote da far girare.