Pedalare di notte da Ferrara al mare, lungo il Po: il racconto e le foto della Night Ride.
Non ce la faccio. Non capisco perché ho cliccato su Partecipa, su Facebook. Che poi clicco sempre, su Partecipa, e alla fine non vado mai da nessuna parte. Concerto a Verona, spettacolo a Milano: io Partecipo a tutto. Ma poi non faccio niente, non ho tempo, voglia, alla sera sono stanco, lavoro tutto il giorno e anche alla notte. Lo sapevo, che non ce la facevo. È sabato sera, ho trascinato i miei amici a questa follia, invece di starmene in spiaggia a bere Tennent’s. Cosa diavolo mi è venuto in mente. Non riesco mai a dir di no, agli amici. Ma non ce la faccio, e ora bisogna partire. E poi tutta sta gente, che pedala, è quasi angosciante, sembriamo un esercito. Qui ridono tutti. 100km, è folle. Arrivo domani mattina. Non ce la faccio dai. Mi addormenterò lungo l’argine, tipo che chiudo gli occhi, mentre sono rimasto indietro (perché lo so, che rimarrò indietro sicuramente), la bici inizia a pendere e prendo il discesone che c’è a Pescara, tipo, dopo Sabbioni. Non ce la faccio mica. Piazza Ariostea piena a mezzanotte di biciclette appoggiate sull’erba. Gente che ride, gli adolescenti che ci osservano, ho la maglia della Ceramiche Ariostea e mi guardano per deridermi, forse (perdona loro, Padre). Tra poco si parte, e io non ce la farò. Fissiamo il numero sulla bici, indossiamo il casco, controlliamo i fanali. Dovevo prendere un maglione, farà freddo, ci sarà la “guazza”. E finirò per non farcela. Qui c’è gente anche in Graziella, ridono. Ma si beve qualcosa almeno? Dai che andiamo. Eh, voi ridete. Ma io mica ce la faccio. Non ho mai pedalato insieme ad altre 193 persone. Arriviamo alle Mura, passando per Corso Ercole d’Este (sul marciapiede, per evitare i ciottoli, arguzia da primo chilometro). Passiamo con il rosso sulle strisce dal Parco Urbano. Automobilisti infastiditi, l’incoscienza di 194 persone in bici di notte. La sensazione tangibile di non farcela, che ti prende dall’inizio, non ti molla nemmeno verso Francolino, l’insegna “Bowling Estense” e la tentazione di deviare, mollare tutto, andare a giocare a ping pong, che da piccolo ero pure bravo, ci giocavo anche col dito rotto. Salutiamo la gente al bar, ricambiano. Ce la fate? Poi la salita sull’argine, il gruppo ormai sfilacciato, il silenzio del Po che c’è, ma non si vede, non lo vedrò mai. Tutto buio, pieno di zanzare, dovevo mettermi l’autan, aveva ragione mamma. Guarda che è sabato sera, sto pedalando al buio, e mi tocca pure dare ragione a mia madre, diobono.
Non ce la faccio dai, troppo lunga, son già stanco. Ro Ferrarese, il ponte per Polesella, il Mulino, il ristoro. Solo frutta, mi mangerei una piada. Prendo il primo caffè, gentilmente offerto. Si riparte. Si parla, tra di noi, al buio. Cosa parlate, voi altri, che perdete fiato. Lo so, che si vedono le stelle e una cosa così quando mi ricapita, però è lunga dai, non ce la faccio mica, non ho avuto tempo per allenarmi. Lo dicevo sempre, i mesi prima: oggi esco un po’ con la bici. Ma poi non lo facevo mai. Non ce la facevo mica. Non arriverò mai, io torno indietro. Berra. Secondo ristoro, pane e Nutella, faccio i complimenti ai ragazzi del ristoro. “Il migliore ristoro della mia vita”, avvistato da lontano come un’oasi nel deserto. Luce, al posto dell’acqua, fotografi al posto di palme. Cave di sabbia a fianco dell’argine che sembrano centrali nucleari. Campanili in lontananza che sembrano satelliti spaziali. E poi solo buio. L’acqua, del fiume, larga, enorme e muta, sembra un po’ meno buia. Gli alberi in golena, le file dei pioppi che si ergono di fronte, ci finiremo dentro? Poi l’argine curva, le luci posteriori rosse di altri ciclisti, là in fondo, lontanissimi, lampeggianti, non li raggiungeremo mai. Ci ritiriamo? Ma qui nel buio, da soli, come si fa. Tocca pedalare. Non si vede niente. C’è uno con la GoPro. Quelli dei Due Gobbi che hanno chiuso il locale all’una e mezza e ci hanno raggiunto. Qualche lucina, ancora, distante, chissà che paese sarà. Non ce la faccio dai. Sembra tipo il cielo alla rovescia, la Bassa di notte, però. A parte le zanzare un po’ è bello, dai, ma è troppo lontano il mare, e inizio anche a sudare, dopo tutta questa strada. Non ce la farò mai. Siamo tutti sgranati, per me qualcuno si perde. Non ce la faccio, troppa fatica, lo vedi che non siamo ancora arrivati, fa ancora buio. Si sente solo qualche uccello, che non dorme. Come noi. Ariano, Mesola, si scende dall’argine, altro caffè. Il Castello di Mesola come uno stargate. Già inizia a schiarire, finalmente. Dovevamo partire prima, lo sapevo, troppo tempo perso in cerimonie. Adesso arriviamo che c’è il sole, stai a vedere. Ma tanto non ce la faccio mica. Quanto manca? Ma dove siamo? Dammi da bere anche a me, va là. Non ce la faccio più. Rischiara. Passiamo per Bosco Mesola, deserto, le 5 del mattino. La Coop, le rotonde, vuote, illuminate quasi spettralmente. Sembra un film. Non ce la faccio davvero più. Passiamo in mezzo alla campagna, a fianco di caseggiati con le palle di fieno e le galline fuori. Dentro, il silenzio di chi riposa. Fuori, il silenzio di chi fatica. Non parliamo nemmeno più. Guarda l’alba, sarebbe da farci una foto. Non ce la faccio nemmeno a tirare fuori il telefono. Rimarrà un ricordo, l’alba. Poi Volano. Lido di Volano. Il cartello dei -10km, come una lama sulle nostre speranze. Dai basta, non andiamo nemmeno più avanti. Nazioni. La torre piezometrica (cit.) di Nazioni. Pomposa. Scacchi. Dov’è il campeggio? Chiediamo a un passante, che tiene tra le mani giornali freschi del mattino, barlumi di una civiltà che bramo come un letto caldo e morbido. Non ce la faccio, davvero, basta.
E poi arrivo, però. C’è il mare, alla fine, per davvero. Ed è bellissimo, farcela, ogni tanto, lo ammetto.